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L’architetto della mischia Pietro Reale

9 Maggio 2018 Stampa articolo

rugbyE’ stato per anni l’architetto della mischia e della touche rossoblu e oggi che esercita la sua attività di imprenditore nel settore costruzioni, Pietro Reale, non può che ricordare con grande soddisfazione lo scudetto conquistato al Flaminio nel maggio ’88.

“Il ricordo di quella stagione è molto bello, probabilmente la più bella stagione che abbia fatto in prima squadra, dove avevo esordito nel 1981 all’età di 18 anni, anche se il campionato 1990 l’ho vinto da capitano. E’ stato comunque il primo titolo e non posso che ricordarlo in maniera positiva”.

Un titolo conquistato in un’atmosfera surreale e quando sembrava quasi ormai che tutte le speranze fossero finite. Che sensazioni si respiravano dal campo?

“Non so che sensazioni avessero in quei momenti i miei compagni, io ho sempre sentito che quel campionato dovevamo vincerlo noi, visto che ne eravamo stati grandi protagonisti. Pioveva a dirotto e il campo era praticamente impraticabile. Molti di questo erano preoccupati, soprattutto perché il gioco di Botha, un gioco di fino, non è che andasse particolarmente d’accordo con il bagnato e infatti poi s’è visto in quella partita. Io, però, con la pioggia, con il campo pesante, mi sono quasi esaltato. Siamo stati in apnea fino alla fine della partita, ma non ho mai smesso per un momento di credere alla possibilità di vincere e non mi sono mai fatto prendere dalla disperazione”.

Particolare era anche il contesto, con i tanti tifosi giunti in treno a Roma.

“Era una cosa quasi mai vista per Rovigo e si stava evolvendo anche a livello mediatico. Il pensiero di un treno intero che arrivava per fare il tifo è un qualcosa che indubbiamente è stato molto positivo. Allora fummo gestiti comunque in maniera molto intelligente e fummo lasciati al di fuori da tutto quello che succedeva. Andammo in ritiro ad Albarella la settimana prima e giù a Roma un paio di giorni prima della partita”.

Negli ultimi anni, ha esercitato anche le funzioni di direttore sportivo in seno alla società rossoblu. Cosa rivede del Rovigo 1988 in quello attuale?

“La combattività, la grinta, l’essere rugbisti, in modo principale nei ragazzi di Rovigo che incarnano questo spirito, ma anche in qualche altro ragazzo. Nel complesso, secondo me, il Rovigo di oggi è una gran bella squadra e lo si è visto. Ritrovo unità e voglia di vincere, anche fuori dal campo così come avveniva per quel team. E’ un gruppo creato qualche anno fa e che mantiene la stessa ossatura e che continua a vincere, nonostante tutti i problemi che gravitano attorno alla società e con ragazzi che restano uniti e fanno parte veramente di una bella squadra”.

A trentanni di distanza l’1 giugno prossimo ci si ritroverò tutti in piazza Vittorio Emanuele: tifosi, giocatori, dirigenti e staff.

“Qualcuno l’ho continuato a vedere nel tempo, altri meno e fa sicuramente piacere ritrovare i vecchi compagni. Conoscendo Giancarlo Checchinato ero sicuro che stesse smuovendo tutti gli ambienti possibili per organizzare questo evento. Al di là del trentennale, è giusto ritrovarsi perché forse quello scudetto è stato il più bello, il più particolare: era il decimo, quello della stella, non si vinceva da anni, c’è stato il treno e quindi i primi anni del tifo organizzato, avevamo in squadra un fuoriclasse che sarebbe come avere Messi oggi a Rovigo. Insomma è stata una pietra miliare nella storia del rugby in città”.  

 

C.S.



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